La mappa dell’intolleranza

Il 28 gennaio scorso è stata presentata a Roma la prima Mappa dell’intolleranza in Italia, esito di un progetto promosso da Vox – Osservatorio italiano sui diritti (un’associazione no profit che si occupa di cultura del diritto), in collaborazione con le Università di Milano, Roma e Bari.

In più di un anno di lavoro e otto mesi di monitoraggio della rete Twitter (gennaio – agosto 2014), sono stati estratti e studiati quasi 2 milioni di tweet, allo scopo di identificare  le aree geografiche dove risultano maggiormente diffusi il razzismo, la misoginia, l’omofobia, l’odio contro le persone con disabilità e l’antisemitismo.

L’indagine ha investito le comunità online perché ritenute significative in virtù della garanzia di anonimato che spesso offrono (e quindi della maggiore “libertà di espressione”) e dell’interattività che garantiscono. La mappatura delle espressioni “di odio” – come scrive Marilisa D’Amico (cofondatrice di Vox) – parte proprio dall’esigenza di riconoscere, con uno strumento diverso da quello normalmente utilizzato per valutazioni di tipo sociologico e giuridico, l’esistenza di una resistenza “sociale” alla tolleranza e all’accettazione delle diversità. Le parole denunciano discriminazione e contribuiscono in gran parte a mantenerla. E non è con la legge o con una sentenza che si possono modificare impostazioni culturali così radicate: certamente chi scrive una legge e chi giudica deve però conoscere la realtà su cui vuole incidere per raggiungere i propri obiettivi.

Ispirata da esempi stranieri come la “Hate Map” dell’americana Humboldt State University, la Mappa italiana dell’intolleranza mostra l’elemento di maggiore novità nella geolocalizzazione , perché consente di evidenziare le zone italiane maggiormente a rischio di intolleranza e odio estraendo nella massa dei tweet considerati solo quelli contenenti le coordinate geografiche (elemento che Twitter consente di indicare): circa 43.000 tweet geolocalizzati, il 2,3% del totale. Ciò ha permesso di mettere a punto delle mappe termografiche, una per ciascun gruppo a rischio di discriminazione esaminato, in grado di evidenziare diffusione e concentrazione del fenomeno. Quanto più “caldo”, cioè vicino al rosso, è il colore della mappa termografica, tanto più alto è il livello di intolleranza rispetto a una particolare dimensione in quella zona. Aree prive di intensità termografiche non indicano assenza di tweet discriminatori, ma luoghi che mostrano una percentuale più bassa di tweet negativi rispetto alla media nazionale.

Dai risultati emerge che complessivamente la distribuzione dell’intolleranza è polarizzata soprattutto al Nord e al Sud, poco riscontro si rileva nelle zone del Centro come Toscana, Umbria, Emilia Romagna. Una situazione che si capovolge per quanto riguarda l’antisemitismo, un fenomeno in evidenza soprattutto nel Lazio e nel Centro Italia (va però considerato che in questo caso il periodo di rilevazione è stato di soli tre mesi).

La maggioranza di tweet intolleranti si registra contro le donne (1.102.494 tweet, di cui 28.886 geolocalizzati), a seguire quelli contro le persone con disabilità (479.654 di cui 3.410 geolocalizzati).

La Mappa dell’intolleranza verso le persone con disabilità evidenzia una maggiore concentrazione in Lombardia, Campania e nelle zone a Sud dell’Abruzzo e a Nord della Puglia. Le parole “sensibili” sono state analizzate non solo nella loro ricorrenza nei tweet geolocalizzati ma anche in co-occorrezza, ossia tenendo conto degli accostamenti più ricorrenti con altre parole. L’analisi ha evidenziato che la maggior parte delle offese che hanno al centro la disabilità si accompagna a parole che esprimono le funzioni corporee ritenute più “basse”, a significare vergogna e disgusto.

La Mappa dell’Intolleranza – nelle parole di Silvia Brena (cofondatrice di Vox) – è soprattutto un progetto di prevenzione. Per ritrovare tutti quanti, ma soprattutto i più giovani, le parole giuste, quelle davvero umane, per raccontarci.

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